MIO FRATELLO È UN RAPACE

13 Settembre 2024 | Pensiero alle piante e al sangue

Esiste un tempo in cui il volo del rapace si accorda con la danza della Terra.
Come se scegliesse di arrendersi alle correnti senza più sbattere le ali, in quel momento tu perdi la percezione di chi si stia muovendo davvero: se il rapace, la Terra o tu che guardi.
Avviene una strana confusione per cui sai che le possibilità sono tre, ma nessuna ti soddisfa. E allora torni a credere che sia solo un’illusione.
Sai che quel tempo in volo avviene in seme a delle condizioni specifiche, ma quelle condizioni non le decidi tu. E allora torni a credere che sia meglio dimenticare.

Nel cuore di chi guarda il volo del rapace, il deserto stepposo e la foresta amazzonica sono simili, perché ovunque tu sia, il mondo parla secondo metafora.
Ma sul momento non lo sai, se non dopo altro tempo. E allora torni a credere che è follia.

- Al Templo del Sol vidi un capriolo saltare e nascondersi dietro dei massi.
I suoi colori erano identici ai colori della steppa: se non mi avesse catturato il suo movimento non lo avrei visto.
Ecco, è così che lavora la metafora, i segni del mondo: se riesci ad aprirti e farti catturare dal moto di quella perla nascosta quasi indistinguibile, se ti apri alla possibilità che le cose si muovano, allora vedi che loro lo faranno. E quando le cose si muovono e tu stai li a vederle muoversi con grazia, come quel capriolo come quel rapace, ne capisci la natura, il principio, l’essenza. Ma lo capisci solo dopo, perché così è -

Quando incontriamo Anime che conosciamo già, facciamo una cosa tutta umana e insensata: le scansiamo da noi, come per rispetto, in un’attesa inconsapevole prima di quelle strane condizioni che forse un giorno lasceranno spazio all’incontro vero. Come il rapace che perde il suo volo per donarsi al Cielo.
Ecco il racconto di un vero incontro che mostra il contatto di due Anime lontane intente a chiamarsi, ascoltarsi, mordere, urlare.
E se anche una delle due dovesse perdersi, abbiate fede, perché tutto torna, sempre.

Molto tempo fa persi mio fratello e inaspettatamente ora ho il suo nome che mi vola attorno e nel cuore, come quel rapace.

Ecco, questa è la storia di quel vero incontro tra un fratello perso e una sorella che, ora, ha molti più anni di lui - almeno qui, sulla Terra.

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Una mattina un buffo fiore mi chiamò da lontano.

Quel fiore divenne la mia prima casa, la mia prima coperta, il mio primo tetto, il mio primo amuleto e il mio primo frattale.
Dopo tutti quei doni correnti e correlati, avrei voluto ringraziarlo lasciandolo dormire per sempre sull’altare della Dea; ma quale sciocco ringraziamento sarebbe stato reciderlo dalla linfa della Madre stessa?!
Tu condizioni il corso delle cose con ogni azione - mi disse - e anche una non azione è pur sempre un’azione.
E senza troppe storie, senza darmi il tempo di chiedergli altro, quel fiore mi portò da due essenze: la prima più sostanziosa, la seconda più antica.

Chiusi gli occhi.

La foresta è bulimica se la lasci fare - disse la spina dell’est - perché chi solo mangia e legge senza farsi penetrare dai principi avrà indigestione di informazioni secche. Seguimi e vedrai ciò che ti spetta, perché chi si conosce già, si scansa e poi salta.
La prima spina mi portò in un ventre dove un bambino che stava per nascere si era appena attorcigliato con il cordone ombelicale. Guardai la spina con sentimento, come chiedendole il permesso. Ella annuì e con due sole dita riuscii a liberare il bambino dal pasticcio che aveva fatto, e che sarebbe potuto essere mortale durante il parto.

Così in un attimo fui sola; tutta mossa da quella meravigliosa sensazione di aver fatto del bene senza chiedere nulla in cambio.
Mi apparve il fiore bianco e già sapevo cosa avrei dovuto fare.

Chiusi gli occhi.

Il deserto è avido - disse la spina dell’ovest - soprattutto se non sai discernere tra l’alba e il tramonto. Ti porto con me su una strada che non richiede lancette né sangue.
La seconda spina mi portò su un’altura, dove una rossa casa ospitava due amanti che si rincorrevano tra gli arbusti. Sulla destra vidi tanta legna ancora da tagliare e smistare in fasci, così passai il mio tempo a lavorare per loro e il loro ambiguo affetto, quasi fraterno.
Tanto veloce era la loro corsa, tanto forte spaccavo i ciocchi per il loro inverno.
Senza di me, pensai, avrebbero dovuto scegliere se scaldarsi tra qualche mese per sopravvivere o se scaldarsi ora, per vivere.

E in un attimo fui sola.

Tornata dalla foresta e dal deserto, il fiore bianco mi ringraziò nuovamente per non averlo reciso.
Non far caso al Due - mi disse - tieniti stretto il Tre, perché una terza forza, seppur nascosta, è sempre salvifica.
Cercai subito di acchiappare al volo quelle parole che sentivo già sfuggirmi ma quello che mi arrivò come un vento tra le mani fu un nome: Gabriel.

Gabriel, come l’Arcangelo che sa darti la forza di comprendere e superare te stesso, che ti permette di tornare vergine, tornare privo di passato.

Gabriel. Come la scelta di elevare in potenza ciò che si fa per chi si ama, senza che lui o lei sappia niente.

Dopo aver pregato per le due spine e il fiore bianco, solo dopo, riuscii a prendere coraggio e guardare il Cielo: da ore sopra la mia testa volava un rapace, un rapace che aveva ora un nome e una sorella.
Mi resi conto che quelle condizioni del volo perfetto non sono altro che scelte, probabilmente un pò grossolane e fallaci perché io qui sono umana,
anche se senza di te.

Sai mi sei passato accanto più volte in questi anni e mai ebbi il coraggio di chiederti:
Ti va di sederti un pò qui con me?
Non voglio niente, solo stare in silenzio con te.
Ti va?
Gabriel, ti va?

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ALESSANDRIA D’HYPAZIA

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AIREO, IN NOME DELLE VETTE