AIREO, IN NOME DELLE VETTE
18 Agosto 2024 | Pensiero fulmine a ciel sereno
Quando da una vetta guardi un’altra vetta tutto è immobile, come in preghiera.
Quando da una vetta guardi a valle, tutto è mosso dall’alto, come nel dubbio.
Puoi addirittura contornare con il dito l’ombra (a valle) delle nuvole (sopra di te): mentre i pastori giù si sentono impalliditi e fiacchi dal grigiume, tu sai che di lì a poco arriverà un nuovo sole, poiché quel buio è pura ombra passeggera di una nuvola viandante.
Tu dalla vetta vedi cose che loro non possono osservare: moti più larghi, distanze più lunghe, sapori più decisi, temperature più estreme, vedi un tempo più intero del loro, vedi delle conseguenze maggiori e dei perché più grandi.
Tu dalla vetta sai di più, pensi; loro in valle sanno poco, ragionano.
Sanno il come di ogni cosa, e ciò è quanto a loro basta.
L’immobilità e la pace delle vette sono per gli eretici.
Ma anche quando fai l’umano con tutto dentro che muove - odio rabbia vergogna colpa - non avere timore, poiché ovunque provi rancore c’è sempre una vetta, pronta a donarti agape. Se solo trovassimo il coraggio di guardare.
Se solo trovassi il coraggio di guardarti.
Mentre i credenti ragionano, gli eretici si arrampicano in vetta, nonostante i fulmini, e pensano il nuovo, liberi nelle loro scelte e nei loro desideri, liberi di meditare su qualsiasi pietra. Sono capaci di carpire altro da ciò che viene imposto loro; capaci di solcare passi nuovi e scorgere vette sempre più alte.
Se dovessi leggere la mia storia da una vetta, vedresti che per tanto tempo sono stata un fiore secco, senza gioia e libido.
Ma tu dalla vetta mi guardi e vedi per me, di qui a poco, tutt’altri colori, mai scoperti; colori che riesco a immaginare solo fiochi.
Tu da quella vetta mi guardi, ci guardi, e liberi linfa.
Sai più di tutti noi e vedi oltre ciò che siamo in quegli stupidi momenti di chiusura e rancore.
La tua è una vetta strana, diversa dalle nostre possibili.
Pensa. Supera. Libera.
Di una cosa ora sono certa: se, salendo, nei boschi stai per cogliere un fiore e su di esso un’ape ci si posa, lasciala berne il nettare:
Te lo lascio, ape cara, voi che avete modo qui di essere nutriti e nutrire bellezze disinvolte.
Ti lascio a lei, caro fiore violaceo, voi che avete modo qui di nutrire e essere nutriti di bellezze disincantate.