L’ETERNO TRADIMENTO DEL BIANCONIGLIO
Dicembre 2019
Una volta una persona mi disse che perdendo qualcosa si fa spazio ad altro.
Mi resi conto di tante cose, nel giorno del giudizio.
Mi resi conto di volermi proprio tenere stretta quella voglia. Sperando di aver imboccato sia la strada,
che le coperte o il mio ego in modo adeguato.
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Il batterista guardava fisso disdicendo e annuendo alle battute del giudice.
Il contrabbassista strattonava per la manica la donna della Senna.
Il pianista dal collo mozzato e la schiena irrigidita continuava a bruciarsi le dita e porgere l’orecchio a Dio.
Prima credevo tutto fosse possibile, ora so di non saper fare nulla.
Mi resi conto di aver perso la fede, nel momento in cui il sassofonista ha rovesciato il suo salvadanaio a terra, senza curarsi delle tracce sulle sue scarpe lucide. Sguardo panoramico al pubblico: faceva strane espressioni con il volto. Un prestigiatore che distoglie l’attenzione da dove avviene il trucco, da quel gioco viscido e disgustoso. Dalla saliva in terra.
Saliva in terra.
Saliva.
Saliva e saliva ancora.
Se ci togliessero i nostri rumori, ci sentiremmo ancora capaci di infastidire e pregare?
I rumori degli umani sono così scadenti.
Scesi le scale di quel locale, Rue de l’Hirondelle, soliti scarponi alti e le scale troppo ripide e rigide per i miei scarponi, grandini alti, un rimbombo ad ogni passo. Scesi senza nemmeno sfiorare il mancorrente.
Giusto perché me lo stavano per sottrarre, quando nessuno mi avvertì di niente.
SIGNORE, NON SE NE FA NULLA. Ripeto miracolosamente escludendo, a priori, l’idea che se ne faccia qualcosa invece, qualcosa di utile.
Una scena patetica: le preoccupazioni degli umani. Scadenti come i loro tempi.
Tornai credo perdente. Oscillavo seguendo il volto del batterista, il collo del pianista e le mani del contrabbassista. Non sentii nulla, rombi di scale, corde pizzicate, nemmeno la mia voce.
Mi resi conto di aver perso la fede oscillando sugli sputi del sassofonista, non più a tempo per me.
NON SE NE FA NULLA
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La guardavo disegnare serpenti in maniera sgraziata sul vetro di un autobus appannato, credendo che non fosse umana. Solo perché si proteggeva da me con l’ombrello, disidratato, scarnificato, disossato.
Un ombrello come coperta, scudo e mitragliatrice contro chi non ha anelli come i suoi.
Mia nonna mi diceva sempre di divedere per 7 il numero di persone presenti, quelle che riuscivo a contare, girando il più possibile la testa, senza spezzarmi il collo come il pianista, contare da dove ero, contare a tempo.
Contai
Dopo le prime due fermate si aggiustò il cappello e arrotolò la cintura del suo scudo pieghevole attorno alle sue ali. Più avanti, nell’autobus, una madre a suo figlio con una sciarpa, fece la stessa cosa.
Mi guardò negli occhi e mi resi conto di non udire più nulla di certo che mi circondava.
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SIGNORE LA PREGO NON SE NE FA NULLA
Prima credevo che tutto fosse possibile Credevo che fosse stato già scritto
Ma come si fa
Come si fa
LA PREGO, SIGNORE
Feci tanto per non perderlo.
Mia nonna mi diceva sempre di sedermi a terra ogni volta che ne avevo voglia, dovunque fossi.
Moltiplicare per 7 e aspettare.
Lei si rese conto di aver perso il tempo. Lei si rese conto di aver perso tempo. Lei si rese conto di aver perso.
Lei si rese ciò che aveva perso.