SONO SOLO MAGIA
22 Luglio 2025 | Dall’antico Egitto in poi | parte 2
Mi siedo al fresco nel cortile a cielo aperto dove tutto respira poroso e vegetale. Al centro un grande loto primordiale incastonato nel pavimento; tutto attorno a me alti muri bianchi che portano a palazzo; mentre a ovest, tra fusti di papiri e farfalle di carta, il Nilo apre uno squarcio d’orizzonte e gentilmente benedice i miei piedi.
Un ricordo privato dove tre bambini giocano nell’acqua, spensierati e leggeri; e io che li guardo e non penso.
In quella silenziosa sospensione, il mio nome vola nell’aria e così mi giro verso la fonte, senza stupore. È una cosa che capita: c’è chi mi chiama e io rispondo, e con tutta me stessa mi giro, con i capelli corvini, le vesti bianche e mani lunghe pronte a fare ciò che mi viene chiesto. Nutrire per far crescere la vita: nutrire di latte e arte.
Mi siedo. Mi chiamano. Mi giro. Salto avanti, ma non di tanto.
Se prima l’aria era candida e pregna di libertà, ora tutto si fa rumoroso, dissonante e stringente.
Vengo catturata, acchiappata, accalappiata, presa e portata contro la mia volontà nella piazza principale. Non ho mai apprezzato le piazze, al contrario dei mercati dove tutti si rispettano giocando d’azzardo con i prezzi, lì nella piazza pubblica la vita è maligna e sembra rifiutarti come gli urti delle persone, entusiaste solo alle umiliazioni altrui. Codardi illusi, morti smunti senza nobiltà, essenze esangui di sole meccanicità. Avvizzi che incitano le mie accuse di furto.
Cosa me ne dovrei fare io? Cosa dovrei farmene di stupidi gioielli preziosi e statuette se tutto ciò di cui godo è nella libertà di un cortile bianco e bagnato?
Mentre mi dimeno senza recuperare spazio, alzo lo sguardo per uscire dai pensieri che tengo per me e il mio aguzzino diventa l’uomo che amo. Mantengo i miei valori in segreto sapendo che lui non può scoprirsi così pubblicamente, in un processo, per me. Avrebbe di certo parlato se fossimo stati al mercato, e io non avrei versato lacrime di dolore, ma di affidamento.
Yoseph.
Si può davvero unire la Magia e l’Amore?
Prima di cedere all’abbandono e alla resa passiva che la folla urlante richiede, il mio cuore dimentica l’amore e lo sguardo invoca il cielo: l’occhio che tutto vede e tutto sa.
Horus conosce ogni nascondiglio d’anima, ogni vetta, verità e ogni dubbio. La giustizia divina è libera da finte accuse e riconosce solo se stessa; mentre la salvezza non è qualcosa che ti regala.
Tutto crolla, forse esplode, la terra trema e la pietra dapprima matrice di case e templi diviene strumento di morte. Il processo pubblico si rompe, come le colonne che avrebbero scenografato la mia fine. Non c’è più bisogno di dimenarsi perché tutto il paese ora è sotto catastrofe. Horus ha creato lo spazio per me: così tra le corse della stessa folla che prima urlava per altro, scappo anche io.
Corro, veloce come mai ho corso, poiché questo fa la sopravvivenza.
Corro. Salto avanti, ancora un poco.
Dal ricordo più importante di quella vita a quello finale: la chiara fine dell’alba.
Dritta e morbida su due livelli differenti di un’ampia scalinata, mentre guardo quel cielo che tutto conosce, una folata mi spinge alle spalle. Accanto a me un grande bacile di fuoco accetta il vento che io desisto.
Di colpo il mio corpo si irrigidisce e un tuono mi chiama: un serpente raggiunge la mia caviglia destra.
Nella freschezza di quel morso e nella caduta lenta e ripiegata, mi lascio andare alla torsione delle mie bianche vesti.
Lei è lì, quella maledetta benedetta sensazione che tornerà, quella di una vita che si irrigidisce, dove tutto è costretto da vicino e simultaneamente lontano.
Dove tutto è minuscolo come un ricamo e enormemente grande come l’universo di un gigante.
Se si viene graziati una volta, la seconda chiamata è più dolorosa. Questo dicono i condonati: perché ora sai, sulla tua carne, la tua pelle, la tua vita.
Maledetta consapevolezza. Maledetta preghiera. Benedetta devozione al Cielo, a ciò che non si vede, a ciò che giace sopra tutto, dove la Fede si ripone sola.
Salto avanti, di molto questa volta.
L’irrigidimento diviene
crocifissione
e poi
stupro
e da stupro diviene
rogo.
Donne immobili, appese, violate, scarnate.
Altre vite, altre morti?!
In quell’ultima alba d’Egitto, il chiaro cielo è sempre lì a dipingere lo specchio dei miei prossimi inizi.
E nello spazio tra i salti arriva nuovamente a me Horus, seguito questa volta anche da Thot, forse a prendere nota o a fare da testimone. Horus mi poggia delicatamente una mano sul collo, e come entrando con cura nella bolla del mio dolore umano irrigidito, al contatto con la pelle di donna fa sparire Colei che tanto temo.
Sono solo magie mi sussurra.
Perline di un’anima senza bracciali, mi lascio andare alla mia morte, alba e tramonto, con un perché in più nel mio diario. Da devota ora osservo il cielo, sapendo di essere osservata: con tutte le mie storture e fissazioni, con tutte le mie grazie e evoluzioni. Con tutte le mie vite, con tutte le mie magie.