IL PIACERE DI ESSERE RIFLESSI
16 Novembre 2024 | Full moon in Valle Sagrado, Perù
Ho scelto di crescere in riva a un lago perché lui mentre ti abbraccia riflette.
Riflette, ti riflette, ti fa riflettere, si fa riflettere.
È una culla, uno specchio, un altare.
Il mare non fa questa cosa, ne tanto meno l’oceano: non ti abbraccia né riflette. Fanno un’altra cosa loro, loro fanno i grandi che parlano di cose da grandi.
I laghi possono essere larghi, ma mai troppo grandi. I laghi sono nei. Sono lacrime di Nut che piange da lassù, sorella Cielo, per aver perso la totale unione con Geb, suo fratello Terra. Lei goccia parti di sé e lui le trattiene al suolo, senza farle né evaporare né prosciugare: lui non nasconde niente di lei, cosicché lei possa guardarsi, bella com’è, in tutto il suo piacere separato.
Ecco perché i laghi.
Perché anche il Cielo ha bisogno di specchiarsi in se stesso, e la Terra di sostenere il Cielo. È uno scambio che non deve essere interrotto o nessuno crescerà mai in riva ad un lago.
Che umani ignavi coloro che credono che la volta celeste sia loro, tutta per noi, da ammirare. Sola, a disposizione dei nostri sogni e dei viaggi notturni sulle onde dei grandi che parlano di cose da grandi. Gli umani chiedono cose che hanno troppo rumore. E troppo poco colore.
- Cosa rimane di te dopo aver vissuto spoglia su una vite di una casa su un lago riflesso, commosso e dismesso?
Cosa rimane di te?
Cosa rimane di me?
Quale rumore di me?
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Alla fine è solo uno scenario che cambia.
Scambia con noi qualche parola per qualche tempo e poi si dissipa. Più veloce del previsto.
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Ecco perché i laghi vanno abbracciati e poi lasciati.
La forza della temperanza non sta nel travasare, ma nel miscelare: mentre tiene con il piede destro il contatto con la fonte, lei trasmuta il riflesso in riflessione sottile.
Da coppa vuota che accoglie a coppa che lascia andare il pieno. Graal.
Per questo ora ho scelto le alte montagne dai contorni frastagliati come lingue di fuoco: perché sei costretta a trovarti mentre solchi la loro liminalità.
Ho scelto la strada della distorsione, della credenza confusa, del rimpiazzo orgoglioso, del permesso bianco, della sconfitta che non lascia tregue se ci caschi dentro, della moltitudine nella consequenzialità.
Anche la giustizia divina della grande freccia chiede uno scambio, un’alchimia, una reciproca passione per poter passare tra i portali rocciosi che la Valle ha da darti. La tua divinità per la tua umanità? O la tua umanità per la tua divinità?
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A volte ti svegli e non sembra un nuovo giorno. È quel ieri che continua immenso e prepotente, che ti dice solo una cosa: “Stai, continua a stare lì, tra le tue nubi di dudas”. Poi d’un tratto, dopo mille richieste a mezza bocca, il crinale si fa azzurro e l’unica differenza tra la montagna e il cielo è una soglia tra l’essere e il non essere, tra il pieno e il vuoto della coppa della temperanza, tra il presente e il futuro.
Il passato già ha mollato la presa.
Se il lago riflette, la montagna urla chiara: “Chi sei?”. E quando non rispondi le nubi rombano.
Quindi
- Chi sei?
Ti chiedo io.
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Io sono colei che è prima a salire e ultima a scendere.
Io sono colei che tuona sui fiori e accarezza le radici.
Io sono colei che corre per ciottoli avendo paura del cambiamento,
che rimane concentrata nel ritrovarsi.
Io sono colei che ignora la sua scintilla,
e mangia per annullarsi nel corpo.
Io sono colei che si benedice e si condanna.
Io sono colei che dice addio sempre e a nessuno.
Io sono donna e uomo,
madre e padre,
figlia e figlio,
sposa e sposo,
sono amante e amo, follemente.
Io sono cane e rapace,
che sorveglia e cavalca.
Io mi confliggo per la mia umanità,
e mi sollevo nell’essere divina.
Mi confliggo per la mia deità,
e mi sollevo nell’essere umana.
“Un giorno urlerò al mio riflesso di venirmi a prendere, per ricordarmi che anche io, come te,
ho il permesso e l’amore di abitare qui”.